Mobbing e rischi psicosociali: brevi considerazioni sulla necessità di includere il mobbing nella valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori

Ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo n. 81/2008 (Testo Unico Infortuni sul lavoro –Sicurezza sul lavoro) la valutazione alla quale è obbligato il datore di lavoro “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”, evidenziandosi tra i rischi particolari “quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell'accordo europeo dell'8 ottobre 2004”.

Né il Testo Unico né l’accordo quadro europeo richiamato nella suddetta disposizione citano espressamente il mobbing, il che ci fa interrogare se il medesimo possa (debba) ritenersi compreso tra i  rischi oggetto dell’obbligo di valutazione.

Un’attenta lettura del dato testuale suggerisce una risposta affermativa, laddove la valutazione è estesa a tutti i rischi, risultando quelli collegati allo stress lavoro-correlato indicati in maniera meramente esemplificativa.  L’interpretazione letterale è sicuramente conforme al dettato dell’art. 2087 c.c., norma sistematica a clausola aperta rispetto all’obbligo di sicurezza del datore di lavoro, che obbliga l’imprenditore “ad adottare nell’esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

L’inclusione del mobbing tra i rischi psicosociali-lavorativi e la sua rilevanza già nella dimensione preventiva della tutela, trova ulteriore conferma nelle indicazioni della Commissione consultiva permanente del novembre 2010, ai sensi dell’art. 28 comma 2 D. lgs. 81/2008, recepite dalla circolare del Ministero del Lavoro del 18 novembre 2010, che include, tra i fattori di contesto del lavoro da valutare, i conflitti interpersonali, così individuando nel mobbing un potenziale indicatore dello stress lavoro-correlato e come tale un elemento da valutare.

Anche il manuale operativo INAIL del maggio 2011, infine, prevede che “il lavoratore non si percepisca oggetto di comportamenti inaccettabili” e tra gli indicatori di check list relativi al contesto del lavoro inserisce la voce “identificazione di un referente per l’ascolto e la gestione dei casi di disagio lavorativo”.

Una valutazione dei rischi estesa anche al mobbing non è priva di risvolti pratici.

Il rilascio delle certificazioni di qualità è subordinato al rispetto dei parametri fissati nel citato manuale INAIL, e la stessa giurisprudenza collega il mobbing all’obbligo di valutazione dei rischi, laddove, investita di questioni concernenti l’accertamento di fatti mobbizzanti, condanna il datore di lavoro che non dimostri di avere adottato misure idonee a prevenire il mobbing, limitandosi all’adozione di misure repressive, affermando che “la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale e lo stesso non assolve l'onere della prova liberatoria posta a suo carico se invece di dimostrare di aver adottato misure idonee a prevenire il dedotto evento dannoso si limita a dedurreiniziative volte alla repressione e non già alla prevenzione di comportamenti di tipo vessatorio” (Cass. civ. sez. lavoro 25 maggio 2006 n. 12445).

In conclusione, la sussistenza di misure idonee a prevenire fenomeni di mobbing nel documento di valutazione dei rischi – unitamente, beninteso, alla prova della concreta attuazione di tali misure all’interno dell’azienda,  non trattandosi di un adempimento meramente burocratico – consente all’azienda di ottenere la certificazione di qualità e può costituire elemento decisivo per dimostrare in giudizio l’assolvimento dell’obbligo di sicurezza.

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